È chiaro che la mortalità nei più piccoli è molto scarsa, ma la finalità del lavoro su Nature Comm. è ben altra. Valutare la persistenza della sintomatologia COVID nei più piccoli.
L’articolo dice testualmente che:
Il campione comprendeva 1034 bambini di età compresa tra 6 mesi e 17 anni provenienti da 612 famiglie: 505 (49%) erano ragazze e l'età media era di 10,2 anni [SD = 4,2].
I risultati mostrano che una percentuale significativa di bambini sieropositivi, in particolare adolescenti, ha manifestato sintomi COVID persistenti. Sebbene siano necessarie ulteriori indagini, la crescente evidenza di post-COVID pediatrico richiede uno screening precoce e una gestione delle cure primarie.
54 (9,5%) bambini sieropositivi soffrivano di sintomi che duravano più di 12 settimane, di cui 31 (57%) erano adolescenti di età compresa tra 12 e 17 anni.
I sintomi che durano più di 12 settimane sono significativamente associati a età più elevata ( >12 anni) (aPR 1.1, 95%CI: 1.0;1.2, variabile continua), essere sieropositivi (aPR 1.8, 95%CI: 1.2;2.8), soffrire di una condizione cronica (aPR 3.6, 95%CI: 2.3;5.5) e vivere in una famiglia con una situazione culturale e finanziaria medio-scarsa (aPR 2,5, IC 95%: 1,4; 4,6. Tutti questi sono fattori di rischio per la persistenza dei sintomi. Il sesso non era associato a sintomi di lunga durata (aPR 1.1, 95%CI: 0.8;1.6).
I risultati importanti sono:
1) il 9,5% dei ragazzini >12 anni ha una lunga sequela di sintomatologie di varia natura (da lievi a gravi) che si protraggono nel tempo e che coinvolgono organi e apparati diversi.
2) Condizioni morbose pre-esistenti aggravano il quadro.
3) Le caratteristiche socio-culturali delle famiglie influiscono sulla persistenza del quadro clinico.
Pertanto, caro Tonarelli, non mescolare la bassa mortalità con la persistenza dei sintomi. Non è professionale, manda in errore le famiglie, e ci sono dei piccoli pazienti che, comunque soffrono. Con la COVID bisogna essere chiari, trasparenti e senza esternazioni ambigue.
Un saluto